Ricorso della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore prof. Sergio Cecotti, rappresentata e difesa - come da delega in calce al presente atto ed in virtu' della delibera della Giunta regionale dd. 7 giugno 1996 n. 2514 - dall'avv. Renato Fusco, avvocato della regione, eleggendo domicilio presso l'ufficio di rappresentanza della regione stessa, sito in Roma, piazza Colonna n. 355 contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 16 maggio 1996 n. 260 concernente il "Regime comunitario di produzione latte" per violazione dell'art. 77 della Costituzione nonche' degli artt. 4 n. 2, 8 e 44 dello statuto di autonomia approvato con legge Costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1. In fatto A) La regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e' stata costituita con legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 approvativa dello statuto speciale. Con l'art. 4 di detta legge costituzionale ad essa e' stata attribuita competenza legislativa primaria ed esclusiva in numerose materie, tra le quali figura pure l'agricoltura e la zootecnica (art. 4, n. 2). Correlativamente il successivo art. 5 ha ad essa demandato l'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie assegnate alla rispettiva competenza legislativa. Pure rileva nel presente giudizio l'art. 44 dello statuto medesimo, il quale espressamente stabilisce che "il presidente della Giunta regionale interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri per essere sentito, quando sono trattate questioni che riguardino particolarmente la Regione". Anche si evidenzia che per la materia dell'agricoltura e della zootecnica sono state trasferite le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato con le norme di attuazione statutarie (di cui all'art. 65 Stat.) contenute nel d.P.R. 26 agosto 1965 n. 1116, nel d.P.R. 25 novembre 1975 n. 902 e nel decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1987 n. 469. B) E' noto che la disciplina del regime delle c.d. quote latte e' stata definita organicamente con la legge 26 novembre 1992 n. 486 (dopo un annoso conflitto con l'allora esistente Comunita' economica europea ed in attuazione del regolamento CEE n. 804/1968) allo scopo di contenere la produzione lattiera eccedente nel mercato europeo e per conseguire il rispetto della quota nazionale assegnata. Con l'art. 2, primo comma, di detta legge veniva attribuito all'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA) la pubblicazione di "bollettini" indicanti gli elenchi dei produttori e dei quantitativi ad essi spettanti su base provinciale da trasmettersi alle Regioni. Nel successivo secondo comma dello stesso art. 2 per i produttori aderenti alle associzioni UNALAT e AZOOLAT si prevedeva che "le quote per le consegne e le vendite sono articolate in due parti distinte": di cui la quota A rapportata alla produzione lattiera commercializzata nel periodo 1988 e 1989; e la quota B calcolata nella maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992. Il terzo comma determinava invece la quota per i produttori non aderenti ad alcuna associazione. In considerazione del fatto che il surrichiamato regolamento CEE n. 804/1968 imponeva una periodica rideterminazione delle quote nazionali di produzione lattiera di spettanza, con il settimo comma dello stesso art. 2 si affidava alla regione il compito di svolgere periodici controlli sull'entita' della produzione commercializzata dai singoli produttori, con l'onere di segnalare all'AIMA eventuali diminuzioni accertate al fine dell'aggiornamento del bollettino. Infine l'ottavo comma demandava al decreto del Ministro dell'agricoltura e foreste - previo parere delle regioni e sentite le organizzazioni professionali agricole - la fissazione dei criteri generali di riduzione della produzione stessa nel caso che le quote nazionali stabilite in sede comunitaria risultassero superate dalla quantita' attribuita in via provvisoria ai produttori. 2. - In attuazione di tale legge veniva emanato il d.-l. 23 dicembre 1994 n. 227 - poi convertito nella legge 24 febbraio 1995 n. 46 riguardante appunto "Norme per l'avvio degli interventi programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria". In esecuzione pure del sopravvenuto regolamento CEE n. 3950/1992 all'art. 2 si stabiliva "... di procedere alla riduzione prioritariamente della quota A non in produzione e successivamente della quota B assegnata ai produttori" in base a taluni parametri quantitativi; ed escludendo comunque da detta riduzione i produttori operanti in zone montane ed in quelle svantaggiate (o ad esse equiparate) nonche' nelle isole. Con l'art. 2-bis si ammetteva l'autocertificazione della produzione nei rapporti tra venditori ed acquirenti. Nei due citati atti legislativi veniva omessa pero' ogni previsione di consultazione delle Regioni, che pure era stata espressamente stabilita nella legge n. 468/1992. Il decreto-legge n. 227/1994 e la legge di conversione n. 46/1995 venivano impugnati dinanzi a codesta ecc.ma Corte costituzionale da parte della regione Veneto e della regione Lombardia, che tra l'altro eccepivano la esclusione della previa consultazione regionale per l'adozione degli atti riguardanti la riduzione della produzione al fine del conseguimento della quota nazionale assegnata. Con la sentenza 28 dicembre 1995 n. 520 si accoglievano parzialmente i proposti ricorsi ed in particolare si dichiarava la illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge stessa nella parte in cui non erasi previsto il parere delle regioni direttamente interessate al procedimento di riduzione delle quote assegnate ai produttori di latte: motivandosi espressamente che risultava fondata la censura di violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione (che attribuiscono alle Regioni ordinarie competenze legislative ed amministrative in materia di agricoltura) e del principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni medesime. C) Con d.-l. 15 marzo 1996 n. 124 intitolato "Regime comunitario di produzione lattiera" il Governo e' nuovamente intervenuto con decretazione d'urgenza per disciplinare la materia. Con l'art. 1: si e' demandato nuovamente l'AIMA la pubblicazione di "appositi bollettini di aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo di applicazione del regime comunitario delle quote latte 1995-1996; si e' attribuito il valore di "... accertamento definitivo delle posizioni individuali" dei dati derivanti da tali bollettini; si e' previsto un ricorso in opposizione all'AIMA medesima avverso le determinazioni dei bollettini, da proporre "... entro il termine perentorio di quindici giorni alla pubblicazione dei bollettini medesimi da parte della regione", attribuendo altresi' valore di silenzio-rigetto alla mancata decisione esplicita dell'AIMA stessa entro i successivi trenta giorni. Con l'art. 2 si introduceva un ulteriore art. 5-bis dopo l'art. 5 della legge n. 468/1992 stabilendosi criteri di compensazione "a partire dagli adempimenti concernenti il periodo 1995-1996" a favore dei produttori sia della quota A che della quota B, nonche' di quelli operanti nelle zone di montagna e delle zone svantaggiate. Si pone nel massimo rilievo come anche per questo decreto-legge si e' completamente omesso di prevedere il parere delle regioni interessate alla determinazione riduttiva delle quote latte, in evidente spregio della gia' citata sentenza n. 520/1995 di codesta ecc.ma Corte. Pure si evidenzia che in applicazione di tale decreto-legge la regione Friuli-Venezia Giulia aveva fornito all'AIMA puntualmente i dati per la formazione dei bollettini di aggiornamento; ma non ha provveduto poi alla pubblicazione dei bollettini stessi (ai sensi del succitato art. 1 del decreto-legge n. 124/1996) trasmessi dall'AIMA stessa della regione medesima per la pubblicazione in quanto gli uffici regionali competenti verificavano in detti bollettini una notevolissima serie di errori dei dati di assegnazione delle quote. Sebbene detti errori risultassero evidentissimi, ripetutamente segnalati e documentalmente comprovati dalla Regione all'AIMA, quest'ultima si rifiutava di provvedere alla rettificazione prima della pubblicazione regionale. Di talche' la regione era costretta a non pubblicare il bollettino sussistendo un legittimo impedimento rappresentato dalla gia' rilevata diffusa erroneita' dei dati in esso contenuti: non prima di aver rappresentato un tanto nella articolata comunicazione del 13 maggio 1996 del presidente della Giunta regionale e dell'Assessorato regionale dell'agricoltura diretta al Ministro delle risorse agricole e al direttore dell'AIMA. D) In presenza di tale situazione di grave e colpevole mancanza di leale collaborazione tra organi statali e regionali interveniva l'ora impugnato ulteriore d.-l. 16 maggio 1996 n. 260 (ugualmente riguardante il "Regime comunitario di produzione lattiera") con il quale si e' praticamente reiterato il d.-l. 15 marzo 1996 n. 124 prima della scadenza per mancata conversione. Detto ultimo decreto-legge si appalesa infatti sostanzialmente indentico al precedente decreto-legge n. 124/1996, differenziandosene solo per una diversa articolazione (in tre articoli e in piu' commi) delle disposizioni gia' presenti nel decreto-legge reiterato. In diritto Le disposizioni del d.-l. 16 maggio 1996 n. 260 risultano costituzionalmente illegittime per i seguenti Motivi 1. - Violazione degli artt. 4 e 8 dell'art. 44 legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 nonche' del principio della leale collaborazione tra Stato e Regione. 1.1. - Si e' gia' sopra illustrato come la ricorrente Regione e' attribuitaria di competenza primaria esclusiva - legislativa e amministrativa - in materia di agricoltura e zootecnica ai sensi dell'art. 4 n. 2 dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1963; e come altresi' vi sia obbligo per il Governo di invitare e consultare il presidente della Giunta regionale nelle sedute del Consiglio dei Ministri nelle quali si trattino questioni interessanti comunque la regione Friuli-Venezia Giulia nell'osservanza dell'art. 44 dello statuto medesimo. Non dovrebbe sussistere incertezza sul fatto che l'adozione dell'impugnato decreto-legge riguardava anche specificatamente la ricorrente regione: sia per gia' citata attribuita competenza primaria ed esclusiva in materia di agricoltura e zootecnica; sia per la partecipazione regionale al procedimento di rientro nella produzione lattiera nella quota nazionale gia' prevista espressamente nella legge n. 46/1995. Conseguentemente il mancato invito del presidente della Giunta regionale alla seduta del Consiglio dei Ministri nella quale e' stato adottato il decreto-legge n. 260/1996 e la mancata consultazione in proposito determina la irrimediabile illegittimita' costituzionale del decreto legislativo medesimo. 1.2. - Oltre che per la - specifica - mancata consultazione del presidente della Giunta regionale, l'adosttato decreto-legge risulta piu' in generale legittimo perche' assunto in violazione tanto delle competenze costituzionalmente assegnate alla regione autonoma del Friuli-Venzia Giulia nelle suddette materie dell'agricoltura e della zootecnica; quanto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione espressamente sancito con la gia' richiamata sentenza n. 520/1996 di codesta ecc.ma Corte con riferimento al precedente decreto-legge n. 727/1994 (ed alla legge di conversione n. 46/1995): e con riguardo quindi alla medesima materia della riduzione delle quote latte e agli atti legislativi che costituiscono presupposto logico e giuridico del decreto-legge n. 260/1996 oggetto della presente impugnazione. In particolare la violazione di detto principio di leale collaborazione veniva sanzionato puntualmente in tale apprezzabile decisione, ritenendosi fondata l'allora proposta eccezione di incostituzionalita' "... in relazione alla mancata previsione nella norma impugnata di qualsivoglia partecipazione regionale nel procedimento di riduzione delle quote individuali: e invero ove si considerino i contenuti della disciplina in esame, che investe interventi sulla dimensione produttiva di aziende comprese nel settore agricolo (v. sentenza n. 304 del 1987) la completa esclusione delle Regioni dal procedimento in questione non puo' trovare adeguata giustificazione ne' in relazione all'urgenza con cui si e' dovuto provvedere ai fini del rientro nella quota nazionale ne' in relazione alla presenza, connessa a tale rientro, di un interesse nazionale al rispetto di impegni assunti in sede comunitaria. Non senza, d'altro canto, considerare che la procedura gia' adottata dall'art. 2, settimo comma, della legge n. 468 del 1992, aveva affidato direttamente alle Regioni la riduzione delle quote assegnate, ove le stesse fossero risultate maggiori della produzione effettiva. Ed ancora di seguito puntualizza che "... rispetto alla fattispecie regolata dalla norma in esame... la presenza regionale andava in ogni caso salvaguardata, quanto meno nella forma della richiesta di parere. E questo tanto piu' ove si consideri che le ipotesi di sottrazione alla procedura di riduzione contemplate nei commi 1 e 2-bis dell'art. 2 sono tali da involgere, almeno in prevalenza, valutazioni spettanti alla sfera dei poteri regionali". Pur essendo stato sancito quindi con tale sentenza additiva l'obbligo di garantire la partecipazione regionale nel procedimento di riduzione delle quote latte, con deprecabile ostinazione il Governo ha disatteso tale statuizione procedendo indebitamente all'emanazione del decreto-legge reiterativo senza alcuna seria e concreta consultazione delle Regioni e della regione Friuli-Venezia Giulia in particolare. 2. - Violazione dell'art. 77 della Costituzione, anche in riferimento agli artt. 4 n. 2, 8 e 44 dello statuto, nonche' del principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni. 2.1. - L'impugnato decreto-legge non presenta i requisiti di straordinaria urgenza e necessita' che legittimano l'esercizio del potere di decretazione d'urgenza da parte del Governo ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Infatti la giustificazione motivazionale espressa in epigrafe al decreto appare del tutto generica ed apodittica. Ma maggiormente rileva che nessuna delle disposizioni contenute nei due emanati articoli (il terzo contiene la usuale formula circa la decorrenza dell'entrata in vigore) risulta in qualche modo diretta a far fronte a situazioni di fatto che appaiono di tale "straordinaria necessita' ed urgenza" da richiedere l'utilizzo del decreto-legge e non l'attivazione dell'ordinario procedimento di approvazione e promulgazione di una legge ordinaria. All'evidenza la materia regolata dall'impugnato decreto-legge medesimo risulta essere la pubblicazione di "bollettini di aggiornamento" riguardanti gli elenchi dei produttori ed i quantitativi delle quote latte ad essi spettanti in applicazione della legge n. 46/1995. Non si comprende quindi quale sia l'improcastinabile urgenza ed indifferibilita' di una tal regolazione che possa giustificare l'eccezionale ricorso alla decretazione d'urgenza. Quest'ultima anzi appare smentita e contraddetta dallo stesso art. 1, secondo comma del medesimo decreto-legge n. 260/1996, laddove si e' sospesa per quasi un anno (e fino al 31 marzo 1997 l'efficacia di una disposizione dell'art. 2-bis della presupposta legge n. 46/1995 che prevedeva un sistema di autocertificazione nella vendita delle quote latte. 2.2 - Neppure puo' sottacersi che una indiretta quanto esplicita conferma della carenza di ogni carattere di urgenza ed indifferibilita' deriva dal parere contrario reso in data 26 marzo 1990 sul decreto-legge n. 124/1996 (ora reiterato con l'impugnato decreto-legge n. 260/1996) dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati: la quale appunto non riconosceva al decreto-legge n. 124/1996 i presupposti di costituzionalita', di urgenza e di ragionevolezza. Ancorche' la circostanza uno assuma non stringente significato sul piano giuridico e processuale, non puo' ritenersi senza significato che l'organismo parlamentare specificatamente competente ha disconosciuto all'identico e presupposto decreto-legge n. 124/1996 la sussistenza di idonea e corretta giustificazione per l'avvenuto utilizzo della eccezionale decretazione d'urgenza da parte del Governo. Risultando confermato - ripetesi - anche per tale aspetto che pure il reiterato ed uguale decreto-legge n. 260/1996 risulta carente dei presupposti previsti dall'art. 77 della Costituzione. 2.3. - La violazione dell'art. 77 da parte dell'impugnato decreto-legge risulta poi dallo stesso carattere reiterativo del presente decreto-legge n. 124/1996. E' notorio che la proliferazione della decretazione d'urgenza ed ancor piu' la costante quanto non corretta pratica della reiterazione dei decreti-legge (che ormai non si riescono a convertire nel periodo temporale prefissato) e' oggetto di acceso e polemico dibattito in sedi istituzionali, politiche, dottrinarie e giudiziarie: risultando comunque unanime la conclusione che detta reiterazione costituisce uno snaturamente dell'eccezionale strumento della decretazione d'urgenza e una palese violazione della disposizione costituzionale di riferimento. Nella presente altissima sede giudiziaria non resta quindi che denunciare la illegittimita' del decreto-legge n. 260/1996 in quanto reiterativo ed identico al precedente e scaduto decreto-legge n. 124/1996: risultando contrario al dettato ed alla ratio dell'art. 77 della Costituzione disciplinare fattispecie fattuali con l'utilizzo di reiterati decreti legislativi d'urgenza dal Governo al di fuori di ogni logica di corretto riparto delle funzioni istituzionali e con continuata sottrazione quindi del potere legislativo al Parlamento istituzionalmente attributario del potere stesso. 2.4 - Va pure precisato che la violazione della citata disposizione costituzionale va denunciata con diretto riferimento esplicito alla lesione delle competenze legislative primarie della Regione sul settore agricolo e zootecnico: essendo ammissibile la proposizione di tale censura anche da parte regionale quando essa incide sulle proprie attribuzioni (sentenza n. 29/1995) e risulti di palese evidenza (sentenza n. 165/1995). E sotto tale profilo pure deve eccepirsi che il riferimento alla sussistenza di apodittica ed ingiustificata "straordinaria straordinarieta' ed urgenza" (come pure enunciato nella parte premessa dell'impugnato decreto-legge) rende di fatto incompatibile e inattuabile la partecipazione regionale alle scelte legislative che con il decreto-legge n. 124/1996 e con il decreto-legge n. 260/1996 sono state assunte nella delicata materia della riduzione delle quote-latte. In tal modo surrettiziamente si violano le competenze regionali in materia di agricoltura; e quelle nel settore dell'agricoltura e della zootecnica specificamente assegnate alla competenza primaria ed esclusiva della ricorrente Regione. E cio' - pure ripetesi - in aperto dispregio delle chiare e puntuali statuizioni esplicitate da codesta ecc.ma Corte con la piu' volte citata sentenza n. 520/1995. 3. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza delle disposizioni del decreto-legge n. 260/1996. 3.1. - Illogico ed irragionevole risulta l'art. 1, primo comma, dell'impugnato decreto-legge il quale stabilisce che "entro il 31 marzo 1996" l'AIMA pubblica appositi bollettini di aggiornamento degli elenchi dei produttori e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo di applicazione del regime comunitario delle quote latte 1995-1996. Innanzitutto detta disposizione appare del tutto incongrua per il fatto che in data 16 maggio 1996 si dispone che venga pubblicato un bollettino "entro il 31 marzo 1996" e quindi con riferimento ad una data gia' da tempo trascorsa. E' ben evidente che tale incongruenza deriva dalla operata reiterazione del precedente e non convertito decreto-legge n. 124/1996 (peraltro neppure richiamato): ma cio' non toglie che appare manifestamente irragionevole, chiaramente inapplicabile e veramente incomprensibile per gli operatori interessati che un atto legislativo imponga la fissazione di un termine gia' scaduto per l'effettuazione di un adempimento amministrativo. Secondariamente la evidente irragionevolezza deriva dalla circostanza che con il decreto-legge n. 260/1996 impone la pubblicazione di un bollettino di aggiornamento (avente carattere definitorio e costitutivo dei rapporti e delle indicazioni quantitative in esso contenute) per la campagna lattiera 1995-1996, quando la campagna stessa e' gia' conclusa. Infatti il regolamento CEE n. 804/1968 (oggetto di applicazione con la legge n. 468/1992) stabilisce che la campagna di produzione del latte e' compresa tra il 1 aprile al 31 marzo dell'anno successivo. Conseguentemente non solo l'impugnato decreto-legge impone il gia' scaduto termine del 31 marzo 1996; ma incongruamente viene a disciplinare dal 1 aprile 1996, e quindi in via irragionevolmente retroattiva, ha campagna annuale gia' conclusa allo stesso 31 marzo 1996. Il sistema previsto dal regolamento 804/68 e dalla legge n. 468/1992 non a caso prevedevano la pubblicazione dei bollettini entro il 31 gennaio di ciascun anno per la determinazione degli elenchi aggiornati dei produttori e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo decorrente dal 1 aprile succcessivo. Dovendo ovviamente svolgersi la funzione programmatoria in via preventiva e quella di controllo sull'attivita' produttiva lattiera in via successiva. L'avvenuta fissazione del termine del 31 marzo 1991 all'art. 1, primo comma, dell'impugnato decreto-legge sconvolge quindi principio di corretta programmazione della campagna di produzione lattiera; risultando altresi' contraria alle prescrizioni comunitarie in materia. 3.3. - Il sistema dei ricorsi da parte di produttori dissenzienti rispetto ai dati riportati nel pubblicato Bollettino, stabilito poi dall'art. 1, terzo comma, dello stesso decreto-legge n. 260/1996, appare irrazionale e irragionevole sotto molteplici profili. Tralasciando ogni considerazione critica sia sulla opportunita' di prevedere l'ormai desueto ricorso in opposizione per la contestazione delle risultanze dei pubblicati bollettini sia sulla estrema brevita' dei termini per la proposizione dei ricorsi stessi, va fatto rilevare pero' come risulti contrario ai consolidati e pacifici principi della giurisprudenza amministrativa non ammettere l'impugnabilita' immediata di un provvedimento amministrativo, ma subordinare la esperibilita' del ricorso al giudice amministrativo alla preventiva e necessaria proposizione dell'indicato rimedio oppositivo. L'imposizione di un preventivo ricorso amministrativo risulta ancor piu' illogica ove si consideri che lo stesso terzo comma prevede poi la possibilita' di formazione del silenzio-rigetto a fronte delle presentate impugnazioni dei produttori interessati. Risultando materialmente impossibile per l'AIMA fornire una decisione sui migliaia di ricorsi che gia' sono stati presentati o preannunciati con riferimento ai pubblicati e pubblicandi bollettini (dei quali e' stata rilevata da piu' parti evidenziata la estesa erroneita'), la previsione del rigetto tacito degli stessi per decorrenza del termine fissato si risolvera' nella necessita' di una ulteriore impugnazione giurisdizionale nel successivo termine di sessanta giorni: con la conseguenza di grave pregiudizio alla gia' precaria funzionalita' dei Tribunali amministrativi regionali, di un oneroso esborso monetario per oneri legali da parte dei numerosi produttori ricorrenti (il piu' delle volte di gran lunga superiore rispetto all'interesse che si intende far valere) ed infine un prolungamento sine die della definizione delle quote latte effettivamente spettante a ciascun produttore (contestando tale inevitabile ritardo con la condannata urgenza di detta definizione). Il sistema di impugnazione delineato dall'impugnato decreto-legge risulta palesamente irrazionale, macchinoso, ingiustificato; e fatto apposta per non garantire ne' una certezza di diritto per i destinatari della emanata normativa ne' per conseguire quegli obiettivi di razionalizzazione delle quote per il quale il decreto-legge n. 260/1996 e' stato adottato facendo riferimento aproprio alla "straordinaria necessita' ed urgenza".