Ricorso  della  regione  autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona
 del  presidente  della  Giunta  regionale  pro-tempore  prof.  Sergio
 Cecotti, rappresentata e difesa - come da delega in calce al presente
 atto  ed in virtu' della delibera della Giunta regionale dd. 7 giugno
 1996 n. 2514  -  dall'avv.  Renato  Fusco,  avvocato  della  regione,
 eleggendo  domicilio presso l'ufficio di rappresentanza della regione
 stessa, sito in Roma, piazza Colonna n. 355 contro il Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  in  carica,  rappresentato e difeso ex lege
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  per  la   dichiarazione   di
 illegittimita'  costituzionale  del  d.-l.  16  maggio  1996  n.  260
 concernente  il  "Regime  comunitario  di   produzione   latte"   per
 violazione  dell'art.  77 della Costituzione nonche' degli artt. 4 n.
 2,  8  e  44  dello  statuto  di  autonomia   approvato   con   legge
 Costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1.
                               In fatto
   A)  La  regione  autonoma Friuli-Venezia Giulia e' stata costituita
 con legge costituzionale 31  gennaio  1963  n.  1  approvativa  dello
 statuto speciale.
   Con  l'art.  4  di  detta  legge  costituzionale  ad  essa e' stata
 attribuita competenza legislativa primaria ed esclusiva  in  numerose
 materie, tra le quali figura pure l'agricoltura e la zootecnica (art.
 4, n.  2).
   Correlativamente   il  successivo  art.  5  ha  ad  essa  demandato
 l'esercizio delle funzioni  amministrative  nelle  materie  assegnate
 alla rispettiva competenza legislativa.
   Pure rileva nel presente giudizio l'art. 44 dello statuto medesimo,
 il  quale  espressamente  stabilisce  che "il presidente della Giunta
 regionale interviene alle  sedute  del  Consiglio  dei  Ministri  per
 essere   sentito,  quando  sono  trattate  questioni  che  riguardino
 particolarmente la Regione".
   Anche si evidenzia che per  la  materia  dell'agricoltura  e  della
 zootecnica   sono  state  trasferite  le  attribuzioni  degli  organi
 centrali  e  periferici  dello  Stato  con  le  norme  di  attuazione
 statutarie  (di cui all'art. 65 Stat.) contenute nel d.P.R. 26 agosto
 1965 n. 1116, nel d.P.R. 25 novembre 1975 n. 902 e  nel  decreto  del
 Presidente della Repubblica 15 gennaio 1987 n. 469.
   B)  E'  noto che la disciplina del regime delle c.d. quote latte e'
 stata definita organicamente con la legge 26 novembre 1992  n.    486
 (dopo  un annoso conflitto con l'allora esistente Comunita' economica
 europea ed in attuazione del regolamento CEE n. 804/1968) allo  scopo
 di  contenere  la produzione lattiera eccedente nel mercato europeo e
 per conseguire il rispetto della quota nazionale assegnata.
   Con l'art.  2,  primo  comma,  di  detta  legge  veniva  attribuito
 all'Azienda  di  Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA)
 la pubblicazione di "bollettini" indicanti gli elenchi dei produttori
 e  dei  quantitativi  ad  essi  spettanti  su  base  provinciale   da
 trasmettersi alle Regioni.
   Nel  successivo  secondo comma dello stesso art. 2 per i produttori
 aderenti alle associzioni UNALAT e AZOOLAT si prevedeva che "le quote
 per le consegne e  le vendite sono articolate in due parti distinte":
 di   cui   la   quota   A   rapportata   alla   produzione   lattiera
 commercializzata  nel  periodo  1988  e  1989; e la quota B calcolata
 nella maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Il  terzo  comma  determinava  invece la quota per i produttori non
 aderenti ad alcuna associazione.
   In considerazione del fatto che il surrichiamato regolamento CEE n.
 804/1968  imponeva  una  periodica   rideterminazione   delle   quote
 nazionali  di  produzione lattiera di spettanza, con il settimo comma
 dello stesso art. 2 si affidava alla regione il compito  di  svolgere
 periodici  controlli  sull'entita'  della produzione commercializzata
 dai singoli produttori, con l'onere di segnalare  all'AIMA  eventuali
 diminuzioni accertate al fine dell'aggiornamento del bollettino.
   Infine   l'ottavo   comma   demandava   al   decreto  del  Ministro
 dell'agricoltura e foreste - previo parere delle regioni e sentite le
 organizzazioni professionali agricole -  la  fissazione  dei  criteri
 generali  di  riduzione della produzione stessa nel caso che le quote
 nazionali stabilite in sede comunitaria risultassero  superate  dalla
 quantita' attribuita in via provvisoria ai produttori.
   2.  -  In  attuazione  di  tale  legge  veniva  emanato il d.-l. 23
 dicembre 1994 n. 227 - poi convertito nella legge 24 febbraio 1995 n.
 46  riguardante  appunto  "Norme   per   l'avvio   degli   interventi
 programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera
 nella quota comunitaria".
   In  esecuzione  pure  del sopravvenuto regolamento CEE n. 3950/1992
 all'art.  2  si  stabiliva   "...   di   procedere   alla   riduzione
 prioritariamente  della  quota  A non in produzione e successivamente
 della quota B assegnata ai produttori" in  base  a  taluni  parametri
 quantitativi;  ed escludendo comunque da detta riduzione i produttori
 operanti in zone  montane  ed  in  quelle  svantaggiate  (o  ad  esse
 equiparate) nonche' nelle isole.
   Con l'art. 2-bis si ammetteva l'autocertificazione della produzione
 nei rapporti tra venditori ed acquirenti.
   Nei due citati atti legislativi veniva omessa pero' ogni previsione
 di  consultazione  delle  Regioni,  che  pure era stata espressamente
 stabilita nella legge n. 468/1992.
   Il decreto-legge n. 227/1994 e la legge di conversione  n.  46/1995
 venivano  impugnati  dinanzi a codesta ecc.ma Corte costituzionale da
 parte della regione Veneto e della regione Lombardia, che tra l'altro
 eccepivano la esclusione della  previa  consultazione  regionale  per
 l'adozione  degli  atti  riguardanti la riduzione della produzione al
 fine del conseguimento della quota nazionale assegnata.
   Con  la  sentenza  28  dicembre  1995  n.   520   si   accoglievano
 parzialmente  i  proposti  ricorsi ed in particolare si dichiarava la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma,  della  legge
 stessa  nella parte in cui non erasi previsto il parere delle regioni
 direttamente interessate al procedimento  di  riduzione  delle  quote
 assegnate  ai  produttori  di  latte:  motivandosi  espressamente che
 risultava fondata la censura di violazione  degli  artt.  117  e  118
 della   Costituzione   (che   attribuiscono  alle  Regioni  ordinarie
 competenze legislative ed amministrative in materia di agricoltura) e
 del  principio  della  leale  collaborazione  tra  Stato  e   Regioni
 medesime.
   C) Con d.-l. 15 marzo 1996 n. 124 intitolato "Regime comunitario di
 produzione   lattiera"  il  Governo  e'  nuovamente  intervenuto  con
 decretazione d'urgenza per disciplinare la materia.
    Con l'art. 1:
     si  e'  demandato nuovamente l'AIMA la pubblicazione di "appositi
 bollettini di aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari  di
 quota   e   dei   quantitativi  ad  essi  spettanti  nel  periodo  di
 applicazione del regime comunitario delle quote latte 1995-1996;
     si e' attribuito il valore di "... accertamento definitivo  delle
 posizioni individuali" dei dati derivanti da tali bollettini;
     si  e'  previsto  un  ricorso  in  opposizione  all'AIMA medesima
 avverso le determinazioni dei bollettini, da proporre "...  entro  il
 termine   perentorio   di  quindici  giorni  alla  pubblicazione  dei
 bollettini medesimi da parte  della  regione",  attribuendo  altresi'
 valore di silenzio-rigetto alla mancata decisione esplicita dell'AIMA
 stessa entro i successivi trenta giorni.
   Con  l'art. 2 si introduceva un ulteriore art. 5-bis dopo l'art.  5
 della legge n. 468/1992  stabilendosi  criteri  di  compensazione  "a
 partire  dagli adempimenti concernenti il periodo 1995-1996" a favore
 dei produttori sia della quota A che della quota B, nonche' di quelli
 operanti nelle zone di montagna e delle zone svantaggiate.
   Si pone nel massimo rilievo come anche per questo decreto-legge  si
 e'   completamente  omesso  di  prevedere  il  parere  delle  regioni
 interessate alla  determinazione  riduttiva  delle  quote  latte,  in
 evidente  spregio  della  gia' citata sentenza n. 520/1995 di codesta
 ecc.ma Corte.
   Pure si evidenzia che in  applicazione  di  tale  decreto-legge  la
 regione  Friuli-Venezia  Giulia aveva fornito all'AIMA puntualmente i
 dati per la formazione dei bollettini di  aggiornamento;  ma  non  ha
 provveduto poi alla pubblicazione dei bollettini stessi (ai sensi del
 succitato  art.  1 del decreto-legge n. 124/1996) trasmessi dall'AIMA
 stessa della regione medesima per  la  pubblicazione  in  quanto  gli
 uffici  regionali  competenti  verificavano  in  detti bollettini una
 notevolissima serie di errori dei dati di assegnazione delle quote.
   Sebbene  detti  errori  risultassero  evidentissimi,  ripetutamente
 segnalati   e  documentalmente  comprovati  dalla  Regione  all'AIMA,
 quest'ultima si rifiutava di  provvedere  alla  rettificazione  prima
 della  pubblicazione regionale. Di talche' la regione era costretta a
 non pubblicare il bollettino  sussistendo  un  legittimo  impedimento
 rappresentato dalla gia' rilevata diffusa erroneita' dei dati in esso
 contenuti:  non prima di aver rappresentato un tanto nella articolata
 comunicazione  del  13  maggio  1996  del  presidente  della   Giunta
 regionale  e  dell'Assessorato  regionale dell'agricoltura diretta al
 Ministro delle risorse agricole e al direttore dell'AIMA.
   D) In presenza di tale situazione di grave e colpevole mancanza  di
 leale collaborazione tra organi statali e regionali interveniva l'ora
 impugnato   ulteriore   d.-l.  16  maggio  1996  n.  260  (ugualmente
 riguardante il "Regime comunitario di produzione  lattiera")  con  il
 quale  si  e'  praticamente  reiterato  il d.-l. 15 marzo 1996 n. 124
 prima della scadenza per mancata conversione.
   Detto ultimo  decreto-legge  si  appalesa  infatti  sostanzialmente
 indentico al precedente decreto-legge n. 124/1996, differenziandosene
 solo  per una diversa articolazione (in tre articoli e in piu' commi)
 delle disposizioni gia' presenti nel decreto-legge reiterato.
 In diritto
   Le  disposizioni  del  d.-l.  16  maggio  1996  n.  260   risultano
 costituzionalmente illegittime per i seguenti Motivi
   1. - Violazione degli artt. 4 e 8 dell'art. 44 legge costituzionale
 31 gennaio 1963 n. 1 nonche' del principio della leale collaborazione
 tra Stato e Regione.
   1.1.  -  Si  e' gia' sopra illustrato come la ricorrente Regione e'
 attribuitaria  di  competenza  primaria  esclusiva  -  legislativa  e
 amministrativa  -  in  materia  di  agricoltura e zootecnica ai sensi
 dell'art. 4 n.  2 dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1963; e
 come altresi' vi sia obbligo per il Governo di invitare e  consultare
 il  presidente  della Giunta regionale nelle sedute del Consiglio dei
 Ministri nelle quali si trattino questioni interessanti  comunque  la
 regione  Friuli-Venezia  Giulia  nell'osservanza  dell'art.  44 dello
 statuto medesimo.
   Non  dovrebbe  sussistere  incertezza  sul  fatto  che   l'adozione
 dell'impugnato  decreto-legge  riguardava  anche  specificatamente la
 ricorrente regione:    sia  per  gia'  citata  attribuita  competenza
 primaria ed esclusiva in materia di agricoltura e zootecnica; sia per
 la   partecipazione   regionale  al  procedimento  di  rientro  nella
 produzione lattiera nella quota nazionale gia' prevista espressamente
 nella legge n. 46/1995.
   Conseguentemente il mancato  invito  del  presidente  della  Giunta
 regionale alla seduta del Consiglio dei Ministri nella quale e' stato
 adottato  il  decreto-legge n. 260/1996 e la mancata consultazione in
 proposito determina la  irrimediabile  illegittimita'  costituzionale
 del decreto legislativo medesimo.
   1.2.  -  Oltre  che  per la - specifica - mancata consultazione del
 presidente della Giunta regionale, l'adosttato decreto-legge  risulta
 piu'  in generale legittimo perche' assunto in violazione tanto delle
 competenze costituzionalmente assegnate  alla  regione  autonoma  del
 Friuli-Venzia  Giulia nelle suddette materie dell'agricoltura e della
 zootecnica; quanto del principio di leale collaborazione tra Stato  e
 Regione  espressamente  sancito  con  la  gia' richiamata sentenza n.
 520/1996 di  codesta  ecc.ma  Corte  con  riferimento  al  precedente
 decreto-legge  n. 727/1994 (ed alla legge di conversione n. 46/1995):
 e con riguardo quindi alla medesima  materia  della  riduzione  delle
 quote  latte  e  agli  atti legislativi che costituiscono presupposto
 logico e  giuridico  del  decreto-legge  n.  260/1996  oggetto  della
 presente impugnazione.
   In   particolare   la   violazione  di  detto  principio  di  leale
 collaborazione veniva sanzionato puntualmente  in  tale  apprezzabile
 decisione,   ritenendosi   fondata  l'allora  proposta  eccezione  di
 incostituzionalita' "... in relazione alla mancata  previsione  nella
 norma   impugnata   di   qualsivoglia  partecipazione  regionale  nel
 procedimento di riduzione delle quote individuali: e  invero  ove  si
 considerino  i  contenuti  della  disciplina  in  esame,  che investe
 interventi  sulla  dimensione  produttiva  di  aziende  comprese  nel
 settore agricolo (v. sentenza n. 304 del 1987) la completa esclusione
 delle Regioni dal procedimento in questione non puo' trovare adeguata
 giustificazione  ne'  in  relazione  all'urgenza con cui si e' dovuto
 provvedere ai fini del rientro nella quota nazionale ne' in relazione
 alla presenza, connessa a tale rientro, di un interesse nazionale  al
 rispetto  di  impegni assunti in sede comunitaria. Non senza, d'altro
 canto, considerare  che  la  procedura  gia'  adottata  dall'art.  2,
 settimo   comma,   della  legge  n.  468  del  1992,  aveva  affidato
 direttamente alle Regioni la riduzione delle quote assegnate, ove  le
 stesse fossero risultate maggiori della produzione effettiva.
   Ed ancora di seguito puntualizza che "... rispetto alla fattispecie
 regolata dalla norma in esame... la presenza regionale andava in ogni
 caso  salvaguardata,  quanto  meno  nella  forma  della  richiesta di
 parere. E questo tanto piu'  ove  si  consideri  che  le  ipotesi  di
 sottrazione  alla  procedura  di  riduzione contemplate nei commi 1 e
 2-bis dell'art. 2 sono  tali  da  involgere,  almeno  in  prevalenza,
 valutazioni spettanti alla sfera dei poteri regionali".
   Pur  essendo  stato  sancito  quindi  con  tale  sentenza  additiva
 l'obbligo di garantire la partecipazione regionale  nel  procedimento
 di  riduzione  delle  quote  latte,  con  deprecabile  ostinazione il
 Governo  ha  disatteso  tale  statuizione  procedendo   indebitamente
 all'emanazione  del  decreto-legge  reiterativo  senza alcuna seria e
 concreta consultazione delle Regioni e della  regione  Friuli-Venezia
 Giulia in particolare.
   2.   -   Violazione  dell'art.  77  della  Costituzione,  anche  in
 riferimento agli artt. 4 n. 2, 8 e  44  dello  statuto,  nonche'  del
 principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni.
   2.1.  -  L'impugnato  decreto-legge  non  presenta  i  requisiti di
 straordinaria urgenza e necessita' che  legittimano  l'esercizio  del
 potere  di  decretazione  d'urgenza  da  parte  del  Governo ai sensi
 dell'art. 77 della Costituzione.
   Infatti la giustificazione motivazionale espressa  in  epigrafe  al
 decreto  appare  del  tutto  generica  ed apodittica. Ma maggiormente
 rileva che nessuna  delle  disposizioni  contenute  nei  due  emanati
 articoli  (il  terzo  contiene  la usuale formula circa la decorrenza
 dell'entrata in vigore) risulta in qualche modo diretta a far  fronte
 a  situazioni di fatto che appaiono di tale "straordinaria necessita'
 ed  urgenza"  da  richiedere  l'utilizzo  del  decreto-legge  e   non
 l'attivazione   dell'ordinario   procedimento   di   approvazione   e
 promulgazione di una legge ordinaria.
   All'evidenza  la  materia  regolata  dall'impugnato   decreto-legge
 medesimo   risulta   essere   la   pubblicazione  di  "bollettini  di
 aggiornamento"  riguardanti  gli  elenchi   dei   produttori   ed   i
 quantitativi  delle  quote  latte  ad  essi spettanti in applicazione
 della  legge  n.  46/1995.  Non  si  comprende   quindi   quale   sia
 l'improcastinabile urgenza ed indifferibilita' di una tal regolazione
 che   possa  giustificare  l'eccezionale  ricorso  alla  decretazione
 d'urgenza.
   Quest'ultima anzi appare smentita e contraddetta dallo stesso  art.
 1,  secondo  comma del medesimo decreto-legge n. 260/1996, laddove si
 e' sospesa per quasi un anno (e fino al 31 marzo 1997 l'efficacia  di
 una  disposizione  dell'art. 2-bis della presupposta legge n. 46/1995
 che prevedeva un sistema di autocertificazione  nella  vendita  delle
 quote latte.
   2.2  -  Neppure  puo' sottacersi che una indiretta quanto esplicita
 conferma  della   carenza   di   ogni   carattere   di   urgenza   ed
 indifferibilita'  deriva  dal  parere contrario reso in data 26 marzo
 1990 sul decreto-legge n. 124/1996  (ora  reiterato  con  l'impugnato
 decreto-legge  n.  260/1996)  dalla Commissione affari costituzionali
 della Camera dei deputati:   la  quale  appunto  non  riconosceva  al
 decreto-legge  n.  124/1996  i  presupposti  di costituzionalita', di
 urgenza e di ragionevolezza.
   Ancorche' la circostanza uno assuma non stringente significato  sul
 piano  giuridico  e processuale, non puo' ritenersi senza significato
 che   l'organismo   parlamentare   specificatamente   competente   ha
 disconosciuto all'identico e presupposto decreto-legge n. 124/1996 la
 sussistenza  di  idonea  e  corretta  giustificazione  per l'avvenuto
 utilizzo  della  eccezionale  decretazione  d'urgenza  da  parte  del
 Governo.
   Risultando  confermato - ripetesi - anche per tale aspetto che pure
 il reiterato ed uguale decreto-legge n. 260/1996 risulta carente  dei
 presupposti previsti dall'art. 77 della Costituzione.
   2.3.   -   La  violazione  dell'art.  77  da  parte  dell'impugnato
 decreto-legge risulta poi  dallo  stesso  carattere  reiterativo  del
 presente decreto-legge n. 124/1996.
   E'  notorio  che  la proliferazione della decretazione d'urgenza ed
 ancor piu' la costante quanto non corretta pratica della reiterazione
 dei decreti-legge (che ormai non si riescono a convertire nel periodo
 temporale prefissato) e' oggetto di acceso e  polemico  dibattito  in
 sedi  istituzionali, politiche, dottrinarie e giudiziarie: risultando
 comunque unanime la conclusione che  detta  reiterazione  costituisce
 uno   snaturamente   dell'eccezionale  strumento  della  decretazione
 d'urgenza e una palese violazione della  disposizione  costituzionale
 di riferimento.
   Nella  presente  altissima  sede  giudiziaria  non resta quindi che
 denunciare la illegittimita' del decreto-legge n. 260/1996 in  quanto
 reiterativo  ed  identico  al  precedente  e scaduto decreto-legge n.
 124/1996: risultando contrario al dettato ed alla ratio dell'art.  77
 della Costituzione disciplinare fattispecie fattuali  con  l'utilizzo
 di reiterati decreti legislativi d'urgenza dal Governo al di fuori di
 ogni  logica  di  corretto riparto delle funzioni istituzionali e con
 continuata sottrazione quindi del potere  legislativo  al  Parlamento
 istituzionalmente attributario del potere stesso.
   2.4 - Va pure precisato che la violazione della citata disposizione
 costituzionale  va  denunciata con diretto riferimento esplicito alla
 lesione delle  competenze  legislative  primarie  della  Regione  sul
 settore agricolo e zootecnico: essendo ammissibile la proposizione di
 tale  censura  anche  da  parte  regionale  quando  essa incide sulle
 proprie attribuzioni  (sentenza  n.  29/1995)  e  risulti  di  palese
 evidenza (sentenza n. 165/1995).
   E  sotto  tale  profilo pure deve eccepirsi che il riferimento alla
 sussistenza   di   apodittica   ed   ingiustificata    "straordinaria
 straordinarieta'   ed  urgenza"  (come  pure  enunciato  nella  parte
 premessa dell'impugnato decreto-legge) rende di fatto incompatibile e
 inattuabile la partecipazione regionale alle scelte  legislative  che
 con  il  decreto-legge n. 124/1996 e con il decreto-legge n. 260/1996
 sono state assunte  nella  delicata  materia  della  riduzione  delle
 quote-latte.
   In  tal modo surrettiziamente si violano le competenze regionali in
 materia di agricoltura; e quelle nel settore dell'agricoltura e della
 zootecnica  specificamente  assegnate  alla  competenza  primaria  ed
 esclusiva della ricorrente Regione.
   E  cio'  -  pure  ripetesi  -  in  aperto  dispregio delle chiare e
 puntuali statuizioni esplicitate da codesta ecc.ma Corte con la  piu'
 volte citata sentenza n. 520/1995.
   3. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza
 delle disposizioni del decreto-legge n. 260/1996.
   3.1.  -  Illogico  ed  irragionevole risulta l'art. 1, primo comma,
 dell'impugnato decreto-legge il quale stabilisce  che  "entro  il  31
 marzo  1996"  l'AIMA  pubblica  appositi  bollettini di aggiornamento
 degli elenchi dei produttori e dei quantitativi ad essi spettanti nel
 periodo di applicazione del  regime  comunitario  delle  quote  latte
 1995-1996.
   Innanzitutto  detta  disposizione appare del tutto incongrua per il
 fatto che in data 16 maggio 1996 si dispone che venga  pubblicato  un
 bollettino  "entro  il 31 marzo 1996" e quindi con riferimento ad una
 data gia' da tempo trascorsa.
   E'  ben  evidente  che  tale  incongruenza  deriva  dalla   operata
 reiterazione   del  precedente  e  non  convertito  decreto-legge  n.
 124/1996 (peraltro neppure richiamato): ma cio' non toglie che appare
 manifestamente irragionevole, chiaramente inapplicabile  e  veramente
 incomprensibile per gli operatori interessati che un atto legislativo
 imponga  la fissazione di un termine gia' scaduto per l'effettuazione
 di un adempimento amministrativo.
   Secondariamente   la   evidente   irragionevolezza   deriva   dalla
 circostanza   che   con   il  decreto-legge  n.  260/1996  impone  la
 pubblicazione di un bollettino  di  aggiornamento  (avente  carattere
 definitorio   e   costitutivo   dei   rapporti  e  delle  indicazioni
 quantitative in esso contenute) per la campagna  lattiera  1995-1996,
 quando la campagna stessa e' gia' conclusa.
   Infatti il regolamento CEE n. 804/1968 (oggetto di applicazione con
 la  legge  n.  468/1992) stabilisce che la campagna di produzione del
 latte e' compresa tra il 1 aprile al 31 marzo dell'anno successivo.
   Conseguentemente non solo l'impugnato decreto-legge impone il  gia'
 scaduto  termine  del  31  marzo  1996;  ma  incongruamente  viene  a
 disciplinare dal 1 aprile 1996, e  quindi  in  via  irragionevolmente
 retroattiva,  ha  campagna annuale gia' conclusa allo stesso 31 marzo
 1996.
   Il sistema  previsto  dal  regolamento  804/68  e  dalla  legge  n.
 468/1992 non a caso prevedevano la pubblicazione dei bollettini entro
 il  31  gennaio  di  ciascun anno per la determinazione degli elenchi
 aggiornati dei produttori e dei quantitativi ad  essi  spettanti  nel
 periodo  decorrente  dal  1  aprile  succcessivo.  Dovendo ovviamente
 svolgersi la funzione programmatoria in via preventiva  e  quella  di
 controllo sull'attivita' produttiva lattiera in via successiva.
   L'avvenuta  fissazione  del  termine  del 31 marzo 1991 all'art. 1,
 primo comma, dell'impugnato decreto-legge sconvolge quindi  principio
 di  corretta  programmazione  della  campagna di produzione lattiera;
 risultando  altresi'  contraria  alle  prescrizioni  comunitarie   in
 materia.
   3.3.  -  Il sistema dei ricorsi da parte di produttori dissenzienti
 rispetto ai dati riportati nel pubblicato Bollettino,  stabilito  poi
 dall'art.  1,  terzo  comma,  dello stesso decreto-legge n. 260/1996,
 appare irrazionale e irragionevole sotto molteplici profili.
   Tralasciando ogni considerazione critica sia sulla opportunita'  di
 prevedere l'ormai desueto ricorso in opposizione per la contestazione
 delle risultanze dei pubblicati bollettini sia sulla estrema brevita'
 dei termini per la proposizione dei ricorsi stessi, va fatto rilevare
 pero' come risulti contrario ai consolidati e pacifici principi della
 giurisprudenza    amministrativa   non   ammettere   l'impugnabilita'
 immediata di  un  provvedimento  amministrativo,  ma  subordinare  la
 esperibilita' del ricorso al giudice amministrativo alla preventiva e
 necessaria proposizione dell'indicato rimedio oppositivo.
   L'imposizione di un preventivo ricorso amministrativo risulta ancor
 piu'  illogica ove si consideri che lo stesso terzo comma prevede poi
 la possibilita' di formazione del  silenzio-rigetto  a  fronte  delle
 presentate impugnazioni dei produttori interessati.
   Risultando   materialmente   impossibile  per  l'AIMA  fornire  una
 decisione sui migliaia di ricorsi che gia' sono  stati  presentati  o
 preannunciati  con riferimento ai pubblicati e pubblicandi bollettini
 (dei quali e' stata rilevata da  piu'  parti  evidenziata  la  estesa
 erroneita'),  la  previsione  del  rigetto  tacito  degli  stessi per
 decorrenza del termine fissato si risolvera' nella necessita' di  una
 ulteriore  impugnazione  giurisdizionale  nel  successivo  termine di
 sessanta giorni: con la conseguenza di grave  pregiudizio  alla  gia'
 precaria  funzionalita' dei Tribunali amministrativi regionali, di un
 oneroso esborso monetario per oneri  legali  da  parte  dei  numerosi
 produttori  ricorrenti  (il  piu' delle volte di gran lunga superiore
 rispetto all'interesse che  si  intende  far  valere)  ed  infine  un
 prolungamento   sine   die   della   definizione  delle  quote  latte
 effettivamente  spettante  a  ciascun  produttore  (contestando  tale
 inevitabile ritardo con la condannata urgenza di detta definizione).
   Il  sistema  di impugnazione delineato dall'impugnato decreto-legge
 risulta palesamente irrazionale, macchinoso, ingiustificato; e  fatto
 apposta  per  non  garantire  ne'  una  certezza  di  diritto  per  i
 destinatari  della  emanata  normativa  ne'  per  conseguire   quegli
 obiettivi   di   razionalizzazione   delle  quote  per  il  quale  il
 decreto-legge n.  260/1996  e'  stato  adottato  facendo  riferimento
 aproprio alla "straordinaria necessita' ed urgenza".